Dopo due settimane di astinenza dalla montagna e dallo sport in generale, le sirene appolaiate sulle cime delle tanto amate Giulie, continuano a richiamare il mio senso di avventura e verticalità. Come per Ulisse, resistere è impossibile. Le opzioni sono soltanto due: farsi legare all’albero maestro o reclutare un piccolo equipaggio e seuire il dolce richiamo.

Al contrario del re di Itaca ci facciamo stregare e partiamo in tre per un viaggio nella vallata più rocciosa della regione.

La sveglia suona inesorabile quando il sole inizia pigro ad alzarsi. Ho solo il tempo di preparare lo zaino e di vestirmi che Augusto (in anticipo di 10 minuti!!) mi reclama per partire. Saliamo in macchina assonnati verso Gemona dove abbiamo appuntamento con Gianluca.

Ci sediamo al bar per la dose giornaliera di caffeina, mentre una combricola di persone sta ancora festeggiando con le birre in mano dalla sera prima; non riusciamo a capire chi sia più fuori luogo tra noi e loro.

Seduti in macchina discutiamo gli ultimi dettagli logistici, e tra un pisolino e una battuta, maciniamo i chilometri che attraverso Sella Nevea ci portano dove la valle del Rio del Lago incontra la valle del Rio Bianco. Il parcheggio è già affollato e nonostante siano solo le 7 di mattina ci sono macchine parcheggiate ovunque: tutte con targa slovena o austriaca.

Preparato il materiale ci incamminiamo nel bosco nella frizzante aria mattutina (11 °C!!) che ci fa tenere addosso maglie e giubbotti nonostante sia metà luglio.

Il sentiero corre parallelo al fiumiciattolo le cui acque, ancora in ombra, zampillano tra cascate e mulinelli. La salita è più ripida del previsto, ma teniamo il nostro solito buon passo desiderosi di vedere da vicino le cime che ogni tanto fanno capolino tra gli alberi. Nel bosco incontriamo anche due alpinisti austriaci, con cui proseguiremo per quasi tutto l’avvicinamento, che puntano alla nostra stessa meta volendo salire però dal più lungo e difficile spigolo nord.

Arrivati in vista del Rifugio Brunner passiamo in un attimo dal silenzio del bosco al parlottare delle molte persone (tutti sloveni!) in sosta fuori e dentro la struttura. Scambiate due parole con i presenti e individuato il sentiero di salita dietro la casera ripartiamo subito.

Dopo un breve tratto in faggeta il sentiero risale il letto del fiume asciutto tra alti muri di pino mugo sormontati a loro volta dalle rocce delle imponenti parenti che cingono la valle.

Arrivati sotto l’imponente parete rocciosa della Vetta Bella continuiamo a seguire la vallata che si piega e si innalza ripida verso la Forc. del Vallone. La pendenza è sempre maggiore, il Bivacco Gorizia sembra non avvicinarsi mai, ma la vista della cima di Riobianco ci attira a sé.

Siamo circondati da alte pareti di compatto calcare grigio rotto qua e là da fessure, spaccature, camini e cenge che scolpiscono tutte le cime dandogli personalità.

I nostri amici alpinisti notano che c’è già una cordata impegnata sullo spigolo; decidono quindi di cambiare meta e improvvisare una salita su qualche altra cima: ci dividiamo.

Arriviamo finalmente al bivacco Gorizia dove un vento gelido ci fa rivestire e ci costringe a trovare un posto riparato tra i sassi per fare una pausa e studiare la direzione verso l’attacco: dobbiamo ora risalire un ripidissimo ghiaione che conduce alla Forc. di Riobianco proprio sotto la cima che ci siamo imposti di salire.

Iniziamo quindi a combattere contro la ghiaia e le rocce instabili guandagnando a poco a poco preziosi metri. Arrivati alla forcella il vento non esita a soffiare gelido e a non concedere neanche un luogo riparato dove sfuggire alla sua morsa. Ci prepariamo in tutta fretta, disfiamo le corde, leggiamo di nuovo la relazione del primo tiro e Gian parte carico. Lui se la gode mentre io e Augusto, rimasti sulla forcella per assicurarlo, battiamo i denti. Le mani sono già diventate insensibili a causa del freddo, nonostante abbiamo addosso tutti i vestiti portati e siamo in pieno estate. Io che mi aspettavo di soffrire il caldo!

Dopo un paio di minuti sentiamo l’urlo dalla sosta; raggiungiamo il compagno dopo una facile arrampicata su roccia ottima e molto appigliata. Gian ci aspetta su un grande terrazzino per cui non ci assicuriamo neanche per poter riaprtire subito. Altri tre tiri su roccia eccelsa, difficoltà molto contenute e con pochi problemi di orientamento ci fanno sbucare sui ripidi pendii poco sotto la cima.

Il vento si è calmato e anche se non abbiamo ancora raggiunto il punto più alto, l’esposizione che si prova a spingersi sul bordo del baratro è tanta. Risaliamo di corsa gli ultimi metri seguendo gli ometti di sassi e cercando la via migliore tra le rocce.

La cima è bellissima! L’aria tersa, nonostante siamo in pieno estate, permette allo sguardo di viaggiare su tutte le cime dei paraggi: si vede la catena del Canin, il golfo di Trieste, il bivacco Luca Vuerich, tutta la catena rocciosa che dallo Jôf Fuart scende di fronte a noi lungo la vallata che abbiamo percorso in salita e, proprio sotto di noi, il puntino rosso del bivacco Gorizia.

Dopo le foto di rito ed esserci goduti la cima per un po’, il freddo ricomincia a farsi sentire per cui decidiamo di ridiscendere fino all’ultima sosta. Arrivati ai cordini, già predisposti con anello di calata, prepariamo le corde, i freni e i prussik e iniziamo la prima discesa in corda doppia.

Saltiamo involontariamente una sosta e ci ritroviamo le bel mezzo di due cordate che occupano l’ancoraggio da cui dovremmo continuare a calarci. Sono solo in 5, ma fanno una confusione terribile tra urla, comandi , insulti e discorsi senza senso. Aspettiamo pazienti su una cengetta che la sosta venga liberata e che quel circo a tutto volume si sposti lontano per poterci rimmergere nel silenzio del montagna. Gli italioti si fanno sempre riconoscere!

Riusciamo a fare le ultime due doppie fino a raggiungere gli zaini che avevamo lasciato alla forcella, dove finalmente il sole sbuca tra le nuvole donandoci un po’ di calore.

Le difficoltà sembrano terminate e dopo una breve pausa rimettiamo l’attrezzatura nello zaino e iniziamo a ripercorrere a ritroso la strada di salita.

Le ginocchia soffrono cercando di frenare il corpo attratto verso il basso dalla gravità nel ripido ghiaione. Dopo qualche volo evitato per poco sento un grido dietro di me; un sasso si è mosso inaspettatamente e lo stinco di Gian ha avuto un incontro ravvicinato con la dura roccia. Non è una buona scusa per fermarsi: si prosegue!

La discesa procede tranquilla e in poco tempo siamo di nuovo al Brunner dove una fontanella ci permette di rinfrescarci un po’ prima dell’ultimo tratto nel bosco.

A poche centinaia di metri dalla macchina, con le difficoltà ormai alle spalle e la testa già concentrata sul meritato toast, un’altra piccola disavventura: uno scivolone imprevisto causa un po’ di panico e alcune ferite ad Augusto che con un abile mossa evita di finire nel fiume sottostante, parecchi metri più in basso, aggrappandosi all’ultimo ad un sasso affiorante dal terreno.

Con qualche acciacco in più del previsto raggiungiamo finalmente la macchina proprio quando il tempo inizia a farsi brutto, super soddisfatti e contenti di aver passato un’altra giornata tra la roccia di in una delle zone più belle della regione.

Distanza Dislivello Tempi
11,83 km
1474 m
7h 14m

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