“Nici ti fai prestare le due picche da qualcuno questo weekend” dice Mauro, “Va bene, così andiamo a fare qualcosa di tranquillo che le imparo ad usare” rispondo io. Silenzio, sguardo sbigottito: “No no, ho già parlato con Augusto, sabato andiamo sul Mangart!”. E così ci troviamo venerdì sera io e Augusto a casa di Mauro a preparare gli zaini per l’avventura del giorno successivo. Sono enormemente grato di essere qua con loro in questo momento: amici e risate sono la miglior accoppiata per mettere a tacere l’ansia per l’avventura di domani.

La sveglia suona alle 4.15 implacabile come sempre ma contro ogni previsione sono piuttosto fresco. Facciamo una sostanziosa colazione, saliamo in macchina e iniziamo la risalita della val Torre in direzione di Bovec per poi prendere la strada verso il Passo del Predil che abbandoniamo a sua volta per la Log pod Mangartom che sale al rifugio del Mangart.

Nonostante la levataccia non siamo sicuri di riuscire ad arrivare in cima, c’è una grossa incognita: le condizioni della strada. “Fortunatamente” la stagione per ora non è molto nevosa (e non lo sarebbe stata ahimè per tutto il tempo) e confidiamo di percorrere in auto molti dei 14 km che conducono al pianoro sotto il panettone nostra meta. I primi km di strada scorrono via lisci finchè in una curva la macchina sbanda per un lastrone di ghiaccio: da qua non ci muoviamo e le catene non ne vogliono sapere di avvolgere gli pneumatici (solo dopo svariati tentativi ci accorgiamo che sono troppo piccole). 

A questo punto siamo piuttosto demoralizzati, sta già albeggiando e noi siamo praticamente all’inizio della strada asfaltata. La situazione svolta quando ci accorgiamo che di fianco a noi parte il sentiero che conduce in quota. Finalmente si parte!

Belli come il sole (e nuie)
Meccanici falliti

Abbiamo avuto una buona dose di fortuna, grazie al sentiero copriamo rapidamente i 600 metri di dislivello fino al rifugio e tagliamo gran parte dei tornanti della strada con la quale ci ricongiungiamo solo in prossimità delle gallerie finali. Attraversarle mi proietta per un istante in Balto ed in particolare nel pezzo in cui devono attraversare la grotta gelata per portare l’antitossina a Nome. Dal soffitto infatti pendono minacciose una miriade di acuminate lame di ghiaccio e dai frammenti a terra, non sembrano restie a staccarsi all’improvviso. 

Il sole sta infuocando le cime del massiccio del Canin mentre il mare di nubi sulla pianura si espande timido con alcune nuvole che entrano nelle valli slovene. Con questo bellissimo spettacolo arriviamo al rifugio in poco più di un’ora, per niente stanchi e super grintosi di continuare. Detto fatto, dopo un rapido sorso di thè ci dirigiamo verso la cresta che fa da barriera meridionale ai laghi di Fusine. 

Inizio del sentiero
La strada è una pista di pattinaggio
Alba sul mare di nubi
Il Mangart

La salita procede tranquilla nonostante la neve non sia sempre in condizione ottimale, spesso ci imbattiano in accumuli dove sprofondiamo fino al ginocchio. Le cose cambiano una volta arrivati in cresta: un vento gelido ci investe con forza alzando migliaia di frammenti di ghiaccio che ci colpiscono in faccia. Questa condizione non cambierà per tutta la salita. 

Ci ripariamo sotto una paretina rocciosa per ultimare la vestizione, ci rifocilliamo un altro po’, abbandoniamo i bastoncini e ci rimettiamo in marcia. Ansiosi di piantare le nostre picche nella neve, optiamo per non seguire il percorso più logico ma saliamo un facile canalino più verticale. La salita continua così per una prima mezz’ora con Mauro davanti, io che seguo e Augusto distante in fondo: strano non è certo il tipo che non tiene il passo di Mauro! 

Superiamo le prime ripide rampe del versante ovest per poi portarci più a nord. Nonostante le pendenze non preoccupanti, l’esposizione si fa sentire: i laghi di fusine sono proprio lì, poco distanti da noi, raggiungibili con un salto di diverse centinaia di metri quasi verticali. Prendiamo ancora un po’ di quota per giungere su un falso piano dove ci fermiamo a riposare, nel frattempo abbiamo incrociato tre giovani sloveni in discesa che ci hanno rincuorato dicendo che manca un’oretta alla cima. “Dai che ce la facciamo!” penso tra me. 

Augusto è ancora dietro di noi e iniziamo a pensare che abbia qualche problema: infatti appena ci raggiunge si mostra molto affaticato e dice di non sentirsi bene. Mauro lo sprona a prendersi una buona pausa per mettere qualcosa sotto i denti e continuare. Uno dei suoi pregi è proprio questo, quando vede un compagno in difficoltà non gli mette fretta o ansia anzi fa di tutto per convincerlo a resistere, senza però fare pressioni, per condividere la gioia della cima insieme, 

Alcuni tratti della salita
Alcuni tratti della salita
Alcuni tratti della salita
Alcuni tratti della salita
Alcuni tratti della salita
Alcuni tratti della salita
I laghi di Fusine sotto di noi

Questo suo modo d’essere mi viene ancora una volta in aiuto poco dopo, mentre stiamo affrontando un traverso esposto su neve non propriamente bella. Augusto non se l’è sentita di continuare e ci sta aspettando sul falsopiano. 

Visto l’amico in difficoltà e siccome ammetto di non sentirmi totalmente in sicurezza per un attimo decido di mollare e raggiungere Augusto, ma ecco che arriva il rimprovero amichevole di Mauro “Guarda che ce la fai benissimo e ti pentiresti per sempre della mancata cima!” Mi conosce proprio bene. Stringo i denti, inghiotto quel nodo d’ansia che mi stava prendendo e proseguo. 

La linea di salita è chiara, ancora qualche traverso, qualche passaggio più ripido e saremo in cima. Il vento intanto non ha mai mollato e continua ad inverstirci con le sue raffiche gelide. Non lo sento nemmeno, sono totalmente nel flow: picca-picca-passo-passo, picca-picca-passo-passo. 

“Ecco la cima, si vede la croce!”, penso. Mauro è già li che mi aspetta. Tempo di superare l’ultimo saltino e siamo lassù entrambi, insieme ancora una volta, con una nota di tristezza per l’assenza di Augusto a condividere la gioia della cima. 

Ma sono felice, non pensavo certo che la prima volta in cima al Mangart sarebbe stata d’inverno! Sopratutto se ripenso a meno di un anno prima quando per provare picca e ramponi la prima volta siamo saliti sul Picco di Carnizza, una delle cime minori che circondano i laghi di Fusine. 

Il vento ci ricorda che siamo comunque a 2677m e la temperatura non è proprio confortevole (il telefono si rifiuta di fare i video) per cui mangiamo una barretta al volo e siamo già sulla via del ritorno.

La via di salita
Strappeti ripidi
Traversi
Nici in cima
Mauro in cima

La discesa è molto rapida e in poche decine di minuti abbiamo già raggiunto Augusto che ci sta ancora aspettando sul falsopiano. Non oso immaginare il freddo che abbia preso a star fermo così tanto tempo ma ci rassicura dicendo di sentirsi meglio e di essersi rimesso un po’ in forze con cibo e thè caldo. 

Scendiamo senza fretta ma quando vediamo vicino la fine del versante in ombra e la linea della luce del sole, nessuno può impedirmi di fare una corsa per raggiungerla. Il benessere è immediato! I compagni mi raggiungono e superano mentre io mi trattengo ancora un po’ a godere del panorama e scattare qualche foto.

La discesa fino al rifugio sembra più lunga del previsto ma bisogna stringere i denti perchè ci sono dei panini con lo spek nello zaino che attendono di essere mangiati! Una volta arrivati ci godiamo mezz’ora di pausa in totale relax per poi, un po’ controvoglia, avviarci verso la macchina. 

Il rientro è rapido e abbiamo ancora le energie per correre lungo il sentiero, in poche decine di minuti siamo alla macchina: stanchi ma come sempre felici per l’avventura vissuta. 

A quest’estate monte Mangart!

Il rientro
Alla prossima Mangart
Distanza Dislivello Tempi
11,83km
1271 m
3h 51m

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