Non l’avevamo mai notata gli anni scorsi, lei, quella cresta così evidente. Come una radice sbuca e si alza dal fondo della più bella sella di Gemona, Sella Sant’Agnese, e impervia sale dal Clap da l’Agnel fino a raggiungere il Deneal, la prima vetta della catena del Chiampon.  È solo ad ottobre che io e Mauro la indichiamo per la prima volta e la guardiamo ammirati. Il caso vuole che pochi giorni dopo Augusto ci dice aver letto per caso sul blog “La Tana dell’Orso” una relazione che la indica come una cresta super selvaggia ma sopratutto su roccia marcia. Seguono dei giorni di ricerche sul web e di domande ai camminatori della vecchia guardia gemonese con il risultato che siamo ancora più confusi, chi ci dice essere quasi una passeggiata, chi ce la sconsiglia categoricamente. 

Passano i mesi invernali e mi ritrovo a marzo a dire a Mauro “Guarda, l’inverno è finito, è giunto il momento di provare il Deneal!”. Poche semplici parole che risvegliano immediatamente l’entusiasmo del compagno ma che in me risvegliano quell’agitazione che provo ogni volta prima di un giro che reputo difficile (complice, ahimè, anche il mio vizio di dare peso ad ogni singola parola trovata sulle relazioni online).

La sveglia suona alle 5.30, oggi è il grande giorno, puntuale come al suo solito Mauro alle 6 è fuori dal mio cancello di casa, lo raggiungo e si parte. Il cielo è già chiaro ma manca ancora qualche ora perché il sole esca a scaldare la sonnecchiante Gemona e nei primi kilometri solo il vento e il cinguettio degli uccelli ci fanno compagnia. Imboccata la strada di Sant’Agnese saliamo fino all’altezza del Clap da l’Agnel, inizia l’avventura. 

Abbandoniamo le dolci pendenze della strada e iniziamo a risalire i boschi di pini e carpini che crescono sulle instabili rocce del versante in ombra della cresta. Essa ci fa capire fin da subito che non si scherza, avanziamo cercando di seguire le linee più facili appigliandoci ai piccoli tronchi e a qualche roccia vagamente più stabile. Riusciamo finalmente a prendere la linea della Cueste Gringhione e la seguiamo tenendoci sempre sul lato sinistro onde evitare le pericolose esposizioni del versante opposto. 

Continuiamo a salire alternando parti in cresta e parti più boscate, sempre prestando attenzione ad ogni singolo sasso. Nel frattempo due camosci ci scrutano dall’alto forse incuriositi da questi due bipedi che osano avventurarsi nel loro regno di nuda roccia ed esposizioni vertiginose. 

Le difficoltà sono molto variabili, una costante dell’ascesa, e una prima parte impegnativa ci si para davanti quando, dopo aver perso un po’ di quota, dobbiamo traversare fuori cresta e risalire un canaletto, ovviamente su roccia marcia. La montagna ci concede poi un po’ di tregua, facendoci risalire un ripido bosco in cui ci possiamo permettere di staccare un po’ con la testa e parlottare tra noi del più e del meno.

Passano i minuti e le ore e il sole finalmente ci investe con il suo calore. La luce dà quasi fastidio, accecandoci un poco all’uscita di alcuni canaletti e lastre che saliamo arrampicando su difficoltà mai preoccupanti. Non dobbiamo solamente muoverci, dobbiamo quasi levitare sulle rocce che tocchiamo, leggeri e agili senza mai fidarsi totalmente di un appoggio o un appiglio.

Ormai abbiamo coperto un buon dislivello e ci illudiamo di essere quasi alla fine, inconsapevoli del fatto che finora abbiamo solamente passeggiato. Le difficoltà maggiori e con esse le esposizioni, si trovano tutte nella parte finale della cresta, quando siamo in prossimità del Prât di Ambruseit, che per essere raggiunto ci mette alla prova attraverso una “facile” arrampicata sugli strati rocciosi che formano la montagna.

Usciti dal canalino ci scontriamo con il traverso più pericoloso che abbia mai fatto in vita mia. Ora come ora siamo quasi sicuri di aver scelto la strada sbagliata, avremmo dovuto tenerci in cresta tutto il tempo, fatto sta che ci tocca traversare sulla roccia più marcia mai vista. Mauro va per primo, molto titubante, tastando con infinita cura ogni granello di ghiaia prima di posare un piede, le mani non sono di grande aiuto e al massimo le si può appoggiare con delicatezza alla roccia senza però poter stringere alcun appiglio. Dopo qualche minuto che pare un’eternità sento la sua voce provenire dall’alto e che mi incita a partire e mi appresto a superare il passaggio. 

Una scarica di adrenalina mi pervade il corpo non appena raggiungo il mio compagno, guardo verso il basso e penso “qua l’abbiamo scampata bella”. 

Finalmente siamo sui prati di Ambruseit dove mi illudo di fare un traverso per raggiungere una linea di costa che sembra essere più facile, per cui convinco Mauro a provare a tagliare il versante erboso. Dopo pochi passi mi rendo conto della pessima idea e sapientemente il mio compagno devia sulle rocce sopra di noi che, sebbene più verticali, danno una sicurezza imparagonabile a quell’erba che si prostra verso il basso quasi ad indicarci lo strapiombo che ci aspetta alla fine del prato. 

Continuiamo a risalire il versante erboso fino a riprendere la linea di cresta e raggiungere il Nâs Piciul in cui si trova il passaggio più spettacolare del percorso: un ripido lastrone che si lascia percorrere da una sottile crestina. Ad un primo sguardo può sembrare impossibile mettere i piedi lì sopra ma in realtà voliamo su quel esile filo senza difficoltà grazie alla tenuta delle suole su quella roccia che è molto buona in confronto a ciò che abbiamo già incontrato. 

Passata la spettacolare lastra ci prendiamo un momento per  riposare e decidiamo di tirar fuori la corda e legarci in attesa della calata necessaria per scendere dal prossimo cucuzzolo: il Nâs Grant. L’essere legati ci permette il lusso di riposare un po’ la mente e saliamo senza difficoltà il centinaio di metri di dislivello tra i due Nâs arrampicando tra mughi e roccia. 

Siamo finalmente al punto di calata, ultima difficoltà del giro. Come ci aspettavamo, troviamo anche un cordino fisso in buone condizioni che decidiamo di utilizzare per scendere. Mauro si assicura con un prusik e in un attimo scompare dalla mia vista, dopo qualche minuto lo seguo e quando ormai l’ho raggiunto mi fa notare di aver fatto una sosta per farmi procedere in sicurezza da primo viste le instabili rocce del prossimo tratto di cresta. 

Supero agevolmente gli sfasciumi e mi posiziono dietro ad un grosso masso più stabile facendo passare la corda in modo che l’attrito generato freni un’eventuale caduta del compagno, cosa che succede pochi secondi dopo quando Mauro mette un piede in fallo e inizia a scivolare lungo il ghiaione. Per fortuna abbiamo deciso di essere prudenti e la corda lo salva da una brutta caduta.

Solamente poche decine di metri di dislivello ci separano dall’agognata cima e con esse una buona mezzora di combattimento tra i mughi, arbusti tanto amati quanto odiati. Oggi, nonostante i graffi e i tagli che mi procurano nelle braccia, provo solo gratitudine nei loro confronti e stringo con forza ogni ramo, bisognoso di una stabilità che oggi è mancata lungo il tragitto a causa del marciume della roccia. 

Siamo finalmente in cima al Monte Deneal, 1703 m. Ci congratuliamo l’un l’altro per l’avventura appena compiuta e riprendiamo fiato leggendo velocemente il libro di vetta. Come sospettavamo non è una cima frequentata e ancora meno sono coloro che la raggiungono dalla via che abbiamo percorso. 

Decidiamo di non perdere altro tempo e ci rimettiamo in marcia in direzione del Monte Chiampon. La traccia, non mi sento di chiamarla sentiero, che divide le due cime è tutt’altro che scontata ma ormai siamo talmente assuefatti alle esposizioni e al “ravano”, che i nostri piedi procedono senza indugi e superano agevolmente anche le lastre di ghiaccio del versante nord che provano a metterci in difficoltà. 

Non molto lontani dalla cima iniziamo a sentire il vociare di numerose persone e con esse anche il fastidioso ronzio di un drone che vogliono a tutti i costi riportarci nella realtà. Ma giri come questi lasciano un segno dentro. Un’avventura così ti cambia, ti fa essere grato di stare al mondo e ti fa sentire parto di esso. Un pezzo di me è rimasto in questa montagna e un pezzo di questa montagna è rimasto in me, radicato nel profondo dell’animo. 

Arrivati in cima al Chiampon ci prendiamo una mezzora di riposo al sole e, finite le provviste, ci mettiamo in marcia per scendere. Da Sella Foredôr poi corriamo lungo il sentiero CAI 713 fermandoci per un sorso d’acqua fresca alla Fontane di Cjarârs e arriviamo finalmente a casa mia quando sono quasi le 16. Decidiamo poi di andare in Tagliamento a mangiare qualcosa e a immergere le stanche gambe delle fresche acque del fiume e dare una degna conclusione a questa avventura.

Più di qualcuno, leggendo, penserà che questo racconto sia un’esagerazione, che non sia così difficile questo percorso. Sono sicuro che per molti sia così, soprattutto per coloro i quali sono abituati ad ambienti selvaggi e rocce marce, ma per me questo è stato più di un semplice giro in montagna, è stata una sfida. Sono felice che il Deneal ci abbia permesso di raggiungere la sua vetta e farò tesoro di ogni sensazione provata nell’ascesa. 

Voglio concludere però con una raccomandazione: questo, ripeto, è un racconto, non una dettagliata relazione e se mai qualcuno leggendo venisse pervaso dalla voglia di provare questo viaggio voglio dirgli di non dare cieca fiducia alle parole lette. Non sarà un giro tecnicamente difficile ma sarà molto pericoloso e la strada la troverete da soli, non cercatela sul web.

Distanza Dislivello Tempi
7,95 km
1548 m
7h 31m

Distanza e tempo non sono completi in quanto l’orologio si è scaricato.


2 commenti

Ongo · 11 Maggio 2019 alle 17:38

Ben fatta! Benvenuti sui greppi!

    Nick · 23 Luglio 2019 alle 10:31

    Un immenso piacere essere accolti da chi prima di noi ha esplorato in lungo e in largo i greppi!

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