Dopo due weekend all’insegna del “ravano” con neve dalle scarpe alla cinta e piogge quasi torrenziali, per non farci mancare nulla, ci riproviamo. Le temperature si sono abbassate e per sicurezza scegliamo uno tra i luoghi più freddi del Friuli. La decisioni ricade sul Bila Peč facente parte del gruppo del Canin.
La sveglia non suona nemmeno troppo presto, il ritrovo è alle 6.45, oggi saremo in tre: il Soncio (o Gian), Gugu ed io (Eli). Percorsa la strada per Sella Nevea ci ritroviamo in largo anticipo perché oggi, stranamente, usufruiremo degli impianti di risalita, evitando così il primo tratto che potrebbe rappresentare un lungo e lento cammino come successo nei due weekend precedenti e dato che non c’è due senza tre corriamo ai ripari.
Dopo un gustoso caffè bruciato che ci regala un risveglio decisamente amaro, ci dirigiamo verso la funivia, dove ci troviamo assardinati tra le scuole sci e sci-alpinisti. Non sembra la classica partenza, anzi non sembra proprio che stiamo andando in montagna: quante persone! 8.45 apertura degli impianti. Sembra l’apertura dei cancelli prima di un concerto; riusciamo ad infilarci e in 10 minuti circa risaliamo i 600 m di dislivello che ci portano al rifugio Gilberti. Usciamo, la folla si dirada, gli sciatori si buttano sulle piste, e noi insieme ad altri due scialpinisti guadagnamo un posticino appartato per prepararci.
La mia inesperienza con l’attrezzatura invernale si fa subito sentire. Nel mentre i miei due compagni mi stanno già aspettando “armati” di tutto punto ed un po’ impazienti di iniziare. Ecco: sono l’ultima della classe e non abbiamo nemmeno iniziato! Risolti i problemi di regolazione e rimesso lo zaino in spalla cominciamo a camminare.
L’aria è decisamente frizzantina, ma lo spettacolo davanti ai nostri occhi riscalderebbe qualsiasi anima. Tutto è ricoperto da un candido tappeto bianco il quale, nelle zone battute dal sole, brilla come fosse ricoperto da un sottile e delicato velo di diamanti. In poco meno di mezz’ora ci siamo lasciati alle spalle il rifugio e le piste, immergendoci nello spettacolo invernale che la montagna ci regala.
In un attimo siamo quindi a sella Bila Peč e la camminata ora cambia, vedo Augu e Soncio tirar fuori le picche e per imitazione faccio lo stesso con la mia. Non sono più tanto convinta, i timori crescono, osservo quella che probabilmente dovrebbe essere la nostra linea di salita che si sviluppa a zig zag con una serie di traversi e tratti in cresta, dopo qualche rassicurazione il Soncio va, fa il primo traverso e scompare alla mia vista…
Non mi sono mossa di molto e fatto il traverso mi guardo attorno, sopratutto verso il basso e vedere fino in fondo alla valle non mi rassicura. Torniamo alla sella e amareggiata comunico agli altri che non mi sento così sicura di farlo, che li avrei aspettati aspettati lì sotto la battuta del sole senza alcun problema. In risposta ricevo un secco “Siamo venuti insieme, saliamo insieme”. Wow, ma il classico alpinista non dovrebbe essere egoista?
Si cambia meta, la Forcella dei Tedeschi. Accetto entusiasta con la voglia di rimettermi in gioco subito per ricucire almeno in parte l’orgoglio ferito, mi pare più facile essendo un canale, una conformazione che mentalmente mi è sempre stata più congeniale dando una fittizia sensazione di protezione.
Riprendiamo il cammino e per farmi prendere confidenza con la picca, che sto usando per la prima volta, vaghiamo giocando qua e là, scegliendo i percorsi più tortuosi, temendo per un attimo di dover tornare indietro per raggiungere la base del canale. Durante una delle svariate mini-soste per rifiatare scoviamo un muretto di neve di qualche metro, ricevo in prestito per provare le due picche e ci fingiamo alpinisti, di quelli veri, arrampicandolo prima di riprendere l’infinita ed estenuante marcia.
Lentamente questo girovagare mi permette di riacquistare il buonumore e riaccende la voglia di godermi al massimo la prossima parte di giornata. Nella testa risuonano le parole sentite in apertura della conferenza di Simone Moro, nella quale paragonava la vita ad un viaggio in corriera in cui non si sa quando sarà il capolinea, ma si può scegliere a quante e quali fermate scendere. Stare seduti comodi è confortante e apparentemente sicuro, ma voglio scendere e scoprire cosa mi aspetta.
Nel nostro peregrinare siamo giunti alla base del canale, optiamo per una sosta per sorseggiare un po’ di thé caldo e per dare refrigerio ai polpacci che stanno andando a fuoco per la salita. Vicino a noi passano vari sci-alpinisti che hanno concluso la loro salita a Sella Ursic e ora scendono elegantemente verso valle. Uno di loro si ferma, un rapido scambio di opinioni sulla bellezza della giornata, sulla nostra meta e un augurio di una buona salita. Incontri che con soddisfazione ti fanno pensare quanto è bello andare in montagna e condividere pochi attimi con perfetti sconosciuto con cui a valle, probabilmente, non scambieresti nemmeno un saluto.
Ci rialziamo, è il momento: canale a noi due!
Inizialmente è poco inclinato e su consiglio dei miei fidati compagni tiro fuori un bastoncino da usare al posto della seconda picca che non ho. Funziona! La salita mi risulta molto naturale, ritrovo me stessa e sono felice di non essere stata seduta a congelarmi sulla sella aspettando gli altri. Pian piano aumenta l’inclinazione e non me ne accorgo fino a quando non mi volto e vedo la strada percorsa che non si trova come al solito dietro di me, bensì sotto di me! Successivamente Augu mi dirà che è un canale che dovrebbe essere circa 40-45° di inclinazione (non proprio una passeggiata).
Davanti a noi uno spettacolo di cime che ammorbidite dalla neve si mostrano in tutto il loro splendore “invernale” anche se in inverno ancora non siamo perché è il 30 Novembre. Ci fermiamo ad ammirare le cime interno a noi, i miei due compagni di salita snocciolano nomi indicandomi le varie vette: Canin, Monte Forato, Velika Baba e quella che era la nostra meta, il monte Bila Peč, arricchendo così la mia conoscenza geografica della zona.
Dalla parete laterale battuta già da tempo dal sole iniziano a staccarsi pezzi di ghiaccio che cadono dritti sulle nostre teste, fortunatamente abbiamo i caschetti che fanno il loro lavoro. Questo segnale ci avvisa che è ora di scendere quindi faccia a monte e un passetto alla volta torniamo alla base del canale.
Scegliamo di non finirla qui e di tornare al Gilberti da un percorso diverso da quello dell’andata, godendoci ancora la magia di poter camminare dove d’estate sarebbe impossibile perché pieno di doline ed inghiottitoti oggi colmi di neve. Intravediamo delle tracce di uno skialper che ha sciato la nostra stessa linea di discesa. Non sappiamo chi sia o quando sia passato, ma in qualche modo è come se stessimo scendendo insieme, a volta sotto la sua guida e altre volte con deviazioni più consone ai ramponi.
Attraversiamo una vecchia valanga e divaghiamo come se tutti e tre volessimo stare ancora un po’ li, immersi nel bianco, nel silenzio e accompagnati solo dallo scricchiolio delle punte dei ramponi sulla crosta ghiacciata. Tagliamo trasversalmente il pendio che ci riporterà al rifugio Gilberti che compare ai nostri occhi, circondato da piccoli puntini colorati che entrano ed escono: sciatori ed alpinisti che cercano ristoro dopo le loro fatiche.
Siamo al rifugi, ci uniamo alla calca di gente e ci concediamo una doverosa e meritata birra. Prima esperienza invernale conclusa! Alti, bassi, dubbi, paure e anche qualche nuova certezza, che portano con sé la voglia di rimettersi in gioco e migliorare, alimentando il desiderio di compiere altre salite e ricercare questa strana felicità.
La curiosità di vedere nuovi posti ci spinge a prolungare ancora di un’oretta la nostra gita. Ci dirigiamo a pochi chilometri da Sella Nevea a far visita al Fontanone di Goriuda o “Cascata del Sole” nel Parco Naturale delle Prealpi Giulie. La leggenda narra che questa cascata fosse la dimora dell’orco Goriuda che si divertiva a spaventare gli abitanti della vallata.
Arrivati alla meta non posso che pensare che la creatura leggendaria avesse fatto un’ottima scelta nel destinarla a dimora. La cascata si tuffa in un laghetto verde smeraldo, il rumore è assordante e l’acqua che si nebulizza nella caduta crea dei piccoli arcobaleni. La vista da qui è mozzafiato, le montagne di fronte a noi vengono attraversate, in prospettiva, dal velo d’acqua. Inumiditi al punto giusto torniamo alla macchino e con il riscaldamento al massimo torniamo a casa.
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