Prima si sceglieva l’itinerario spulciando le guide cartacee o chiedendo ai vecchi montanari del paese, ora è tutto a portata di un clic. Un imparagonabile vantaggio sembrerebbe, se non fosse che spesso si perde talmente tanto tempo a leggere relazioni sul web per cercare il giusto itinerario, che quando lo stiamo percorrendo ci sembra di averlo già fatto. Ci sono delle volte però, in cui il nostro subconscio ci salva da questo ingrato processo scegliendo per noi la meta della giornata.
Succede che mi trovo ad avere una domenica libera e decido di dedicarla ad un giro in solitaria. Mi siedo davanti al PC, apro il browser e in quel momento viene a galla il ricordo di un percorso alternativo per raggiungere il monte Canin: la via delle cenge. Mi tolgo comunque lo sfizio di cercare informazioni su internet e trovo solo poche righe a descriverne la via. Ottimo, penso. Finalmente un percorso in solitaria e nell’ignoto.
Ore 8.55 e i miei piedi toccano il terreno dell’ormai familiare conca Prevala. Il bianco calcare scolpito dall’acqua mi mette subito di buon umore, che subito si incrina leggermente quando guardando verso sella Bila Pec noto che il sentiero brulica di escursionisti. Visti da lontano, sembrano un operoso gruppo di variopinte formiche. Non perdo tempo e quasi volando mi lancio sul sentiero verso la sella.
Alle 9.10 sto bevendo un sorso d’acqua tra i ruderi dell’edificio militare posto in sella. I polpacci sono già in fiamme e boccheggio con la lingua fuori, maledette sigarette.
Senza riuscire a staccare gli occhi dall’incredibile altopiano del Foran dal Mus inizio a percorrere il sentiero CAI 632 che abbandono poco dopo in prossimità del bivio che porta alla ferrata Julia e alla cima del Canin.
Come un cercatore di tesori, il mio sguardo è concentrato sulle rocce affioranti in cerca di quelle strane figure a forma di cuore di cui l’altopiano è pieno. Si tratta di fossili di megalodontidi, grossi molluschi bivalvi che popolavano il fondo di un cristallino mare tropicale di 200 milioni di anni fa: tanto sono vecchie le rocce di questa zona, il nostro bel Friuli a quei tempi sembrava un po’ le moderne Bahamas. Lo sguardo si sposta dal terreno solo per restare incantato dai pozzi carsici e dalle bellissime cenge di queste banconate rocciose.
Raggiungo un ragazzo fermatosi a prender fiato sul nevaio. Uno scambio di battute e già mi ritrovo a parlare delle bellezze geologiche del territorio. Maledetta modalità Superquark che mi parte inconsapevolmente. Ci salutiamo alla base della parete rocciosa dove partono sia la ferrata Julia (sulla destra) sia la via delle Cenge (a sinistra), con l’accordo di aspettare l’altro in cima per condividere la vetta.
Inizia il divertimento!
La via si inerpica lungo una serie di cenge e facili canaletti fino alla cresta sommitale, da cui poi in poco tempo si raggiunge la cima effettiva. Il primo muretto di I grado non desta preoccupazione alcuna, come anche la cengia: la roccia, nonostante un po’ di ghiaia e di esposizione, è buonissima e non intimorisce in alcun modo.
La prima “difficoltà” si presenta dopo il primo spigolo, quando è il momento di attraversare un ponticello di legno: le sue condizioni sono pessime e solamente un folle potrebbe fidarsi di quelle assi marcescenti. Per passare è richiesto un movimento un po’ acrobatico in spaccata per coprire la distanza che interrompe la cengia.
La via continua così, tra tratti di cengia esposta e facili paretine di primo grado. Occasionalmente si incontrano cavi e altre attrezzature che sconsiglio vivamente di utilizzare, nonostante questo le difficoltà sono molto basse e si procede che è un piacere.
Vi è però una nota negativa in questa via. È troppo corta! In meno di mezz’ora sono già sulla cresta sommitale, un gran peccato vista l’oggettiva bellezza estetica di questo percorso.
L’uscita in cresta è un trionfo. Quel groviera che è il Kaninski Podi si stende davanti ai miei occhi circondato dalle creste frastagliate della dorsale Canin-Velika Baba (percorso dell’Alta Via Resiana), con i suoi buchi e cavità sembra un campo di battaglia.
Inizio a percorrere il sentiero normale sloveno che tramite un lungo traverso e qualche facile passaggio di cresta collega gli impianti di risalita da Bovec con la cima del Canin. Sarà anche la mia via del ritorno, però non prima di aver bevuto una buona birra al rifugio sloveno.
Arrivato in cima incontro nuovamente Nicola, il ragazzo conosciuto all’attacco. Tra una cicca e uno spuntino stiamo un sacco a parlare di montagne. Mi racconta di aver iniziato da poco a fare trekking e nel suo sorriso rivedo quell’entusiasmo dei primi tempi, quando una cima non basta mai e il giorno dopo ne vuoi subito un’altra e un’altra ancora per poter ammirare da ogni scorcio possibile le nostre belle montagne.
Quello che doveva essere un giro in totale solitudine, diventa invece occasione di incontro, conoscenza e condivisione. In cima non prendiamo ognuno la propria strada, optiamo per rientrare assieme fino al rifugio Gilberti dove ci aspetta la seconda birra della giornata a conclusione di questa nuova avventura sulla mia montagna del cuore.
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