E’ sabato pomeriggio inoltrato. Neppure arrivati a San Vito di Cadore i panorami dolomitici catturano i nostri sguardi, ipnotizzandoci. Scendiamo dalla macchina ed al volo partiamo verso Casera Prendera, alla ricerca di un incantevole tramonto.
Il tempo scorre, il calar del Sole è sempre più vicino per cui deviamo verso un piccolo cocuzzolo da cui sembra esserci buona visibilità.
Ci ritroviamo esattamente davanti al versante Nord-Est del Pelmo, parzialmente coperto da un cappello. In “lontananza” l’Antelao invece rimane nascosto tra folte nubi mentre il Sorapis riesce a liberarsene, infuocandosi con i colori del tramonto. Il tramonto è breve, strozzato dalle nuvole, e il vento freddo ci fa capire che è ora di scendere in fretta. Andiamo a cena in rifugio.
Scendiamo rapidamente di circa 300 metri di dislivello, ne risaliamo altrettanti: Pietro aveva perso
gli occhiali da sole poco sotto al cocuzzolo.
Arriviamo in “rifugio” (è più che altro un ristorante): nonostante sia piuttosto tardi, i gestori ci servono un ottimo cibo e ci chiedono se dormiamo da loro. “No signora, abbiamo la tenda in macchina. Domani andiamo sull’Antelao.”
Sono già passate le 23 e dobbiamo ancora decidere dove montare la tenda. Risaliamo un boschetto, ci ritroviamo sul pianoro di una pista da sci con vista su San Vito. E’ perfetto qui. In poco tempo siamo dentro la tenda e dormiamo (più o meno). Come fai a dormire se il giorno dopo vuoi risalire per la prima volta una montagna dolomitica?
La notte non ci offre un sonno agevole, fra caldo/freddo, cena sullo stomaco e versi degli animali in prossimità della nostra tenda. Poco importa: la sveglia suona alle 4.
Colazione, preparativi e si parte. Alle 5 siamo in cammino. Il tempo non è dei migliori, le nubi sono basse e non ci permettono di vedere alcuna montagna attorno a noi.
Passiamo al rifugio Scotter pronti a gustarci un buon caffè. Invece è chiuso.
Continuiamo in direzione Forcella Piccola.
Il tempo è gentile, le nubi iniziano ad aprirsi e lo sguardo rimane affascinato dall’Antelao che si fa baciare dalla primissime luci del sole. Non stiamo nella pelle, acceleriamo. Dalla forcella si imbocca la via normale. Siamo solo all’attacco dell’enorme Re delle Dolomiti e abbiamo parecchi metri di dislivello sulle gambe. Buon segno, significa che siamo già belli caldi.
Risaliamo ed iniziamo a capire che non sarà una salita come tutte le altre, qui siamo sulle Dolomiti. La roccia è diversa, la quota è diversa, i panorami sono diversi.
Iniziamo ad incontrare le prime difficoltà tecniche del percorso, alcune cenge esposte ma estremamente affascinanti. E si arriva ai celebri lastroni.
Davanti a noi il Sorapiss si fa vedere in tutta la sua bellezza, lasciandosi accendere dal Sole, e il Pelmo fa capolino con il suo tratto caratteristico. Ecco perché lo chiamano “Caregòn del Padreterno”. Incantevole, rimaniamo estasiati.
Il passo si fa sempre più lento e sicuramente anche più attento. La frana del 2014 ha lasciato numerosi detriti sopra questi lastroni, per cui meglio avere cautela. La traccia si disegna da sola, ma qualche ometto ogni tanto ci aiuta ad essere sicuri della direzione.
Si risale lungo l’infinita ma coinvolgente dorsale dell’Antelao, fino a quando si arriva oltre i 3000 metri di quota. Per noi Friulani, abituati ad altezze minori, è come camminare sull’Himalaya. Ci mancano gli ultimi salti rocciosi, tra cui un paio di metri impegnativi ma agevolati da una corda fissa. La fatica è importante, i passi si susseguono con grande calma.
Alle 9.30 siamo in cima, possiamo essere felici per aver raggiunto la sommità del Re delle Dolomiti.
Ci scambiamo un bel cinque, il cosiddetto “cinque più alto di sempre” (per ora!). Sorridiamo e ci sediamo. Guardandoci attorno, non possiamo scorgere nessun’altra vetta. Le nuvole coprono tutto, spesso anche la nostra cima.
Dopo esserci coperti bene, ripartiamo alla volta della discesa. E’ proprio durante questa lunga, lunghissima discesa che capiamo quanto lunga ed impegnativa sia stata la salita. All’andata eravamo concentrati sull’Antelao ma al contempo “distratti” dalla visione di tutte le montagne circostanti, facendo girare le nostre gambe e facendoci soffrire di meno la salita.
Si scende verso valle, gli ultimi ghiaioni sono assolati. All’improvviso ci ricordiamo di essere in agosto; ora fa molto caldo, ma fortunatamente la macchina non è lontana per cui in poco tempo la raggiungiamo.
Solita ed obbligatoria birra in rifugio e poi si riparte verso casa, con il Re delle Dolomiti nel bagagliaio e con il desiderio di salire altre Dolomiti nel cuore.
4 commenti
Pietro · 5 Novembre 2020 alle 10:35
Ciao, complimenti per la bella salita! Avrei due domande da farvi…
Qual è il rifugio più alto lungo la salita per poter dividere in due giorni l’escursione?
Cosa è necessario portare per affrontare la salita in agosto? La corda serve? piccozza?
Claudio T. · 20 Febbraio 2021 alle 16:26
Il rifugio più alto in zona è il Rifugio Galassi a quota 2018 m.s.l.m.
Restano comunque 1246 metri di dislivello alla cima e poi bisogna tornare indietro (il bivacco Cosi non esiste più)
99 posti letto (35-40 in periodo Covid) prenotabile al 340 1214300 o http://www.rifugiogalassi.it
Normalmente i Gestori (tutti volontari CAI) sono informati sullo stato della via normale
In genere in Agosto non servono piccozza né ramponi ma è meglio informarsi: vista la quota, un temporale può creare del vetrato pericoloso lungo le “Laste”
Vincent · 17 Febbraio 2020 alle 11:26
Ciao grazie mille delle utili info e complimenti.
Volevo chiedervi se avete dovuto orientarvi o la via era tracciata in modo sufficientemente chiaro?
Grazie e complimenti ancora
Mauro · 19 Febbraio 2020 alle 18:54
Ciao! Grazie mille! La traccia è quasi sempre evidente; potresti avere problemi di orientamento solamente nell’ultima parte, ma perdersi completamente è quasi impossibile